Dal quotidiano Gazzetta Del Sud Domenica, 9 marzo 2003 Pagina Tre


Caterina Trombetti Fiori sulla Muraglia ed. Passigli 2000


Il poeta accarezza la chioma degli dei

di Crisostomo Lo Presti


C’è sempre un limite: l’uomo non è il dio degli universi e il confine gli appartiene. Il limite è spesso la voglia della libertà assoluta. Si è ingabbiati anche quando si deve scrivere (per dovere e piacere) di una poetessa fiorentina che ha i capelli dell’oro, segnato da ombre brune e le pupille che lacrimano. Lei, Caterina Trombetti si commuove quando parla della sua vita e gli occhi le luccicano. Ce n’è abbastanza per sentirsi ingabbiati da una natura che ti scava i confini attorno per farti esplodere di rabbia per non abitare più la Toscana, come lei. “Lì le bandiere della pace sono in quasi tutti i balconi. Qui, a Messina, ne ho vista solo una e sarei voluta salire in casa per stringere la mano al coraggioso…”. (Guardo un lenzuolo disteso al balcone / e mi invade la pace). Non dimentica di essere nata nella patria del “tutto e del più”, dove l’irriverenza e lo sberleffo al potente sono segni di libertà. Ma questo è un discorso fuorviante, invece lei confessa: “Attendo l’uomo che mi faccia danzare / e mi trascini con sé nella sorte”.

Sono i versi dell’implorazione di Fiori sulla muraglia con prefazione di Mario Luzi: “… Semplicità come vocazione ed essenza e semplicità come ideale stilistico da salvaguardare, Caterina Trombetti è arrivata presto a districarsi dalle insidie del letterario, del superfetatorio che sono sulla strada degli scrittori di versi della nostra lunga epoca post-simbolista che ha resistito a tutti gli attacchi delle poetiche contrarie che volevano divorarla o macinarla…”. Così ha voluto esprimersi il grande fiorentino, massimo poeta contemporaneo italiano.

E dalla semplicità espressiva Caterina spicca il volo per l’“altrove”, dove i fiori hanno i colori veri (Ma si è accesa la rosa, / ritrovato il suo posto / ora si espande e riempie / del suo fuoco ogni età) e gli uomini hanno la dolcezza dell’inguine nobile e fiero (Assaporarti / un momento / già vale la vita) … (…chiusa fra le tue braccia, quando muto / mi chiedevi come potessi tanto) … (Stillo così la vita, fra i continui assalti / di eros e thanatos il confine rasentando).

Ecco, questa poetessa che sa dove è il suo “altrove”, conosce l’intrigo dell’amore fatalmente proiettato alla morte, mentre rasenta i confini (limiti della psiche nel temenos del cerchio magico) è stata a Messina, ospite delle Edizioni “Il Gabbiano” e dell’associazione culturale “L’Unicorno”: Lucrezia Lorenzini e Maria Froncillo Nicosia l’hanno presentata nella Sala Conferenze del Teatro Vittorio Emanuele, ospite d’onore Mario Luzi con Anna Moleti, che ha recitato i versi da lei scelte.

Caterina Trombetti è presente in varie antologie e riviste letterarie. Della sua poesia si sono occupati, fra gli altri, Fernanda Caprilli, Dino Carlesi, Mario Luzi, Franco Manescalchi, Carmelo Mezzasalma, Mario Specchio, Vittorio Vettori. Alcune sue poesie sono state tradotte in francese, russo, inglese e spagnolo.

Ha pubblicato: “Il pesce nero”; “L’obliqua magia del tempo”; “Fiori sulla muraglia” e “Stelle della mia orsa”. Raccolte che arrivano alla psiche, passando dal cuore, ché il cervello viene nutrito dall’armonia, dall’essenzialità espressiva nei contenuti maturi e sentiti.

Caterina tiene un foglio bianco sul comodino: può succedere di notte di dover scrivere “…poi arriva la limatura, ma buttare giù i versi è come partorire. È l’anima che dà vita alla creatura più sottile e magica che dentro di noi si è nutrita del nostro sangue e del nostro cuore. È il fremito che arriva alle tempie ed è il segnale… poi la mano si muove come ritmata da un gioco nascosto che è in te e che vola sul foglio inerte, ma pronto ad accogliere tuo figlio: il figlio dell’anima. Ed allora sei un tutt’uno con il sentire profondo ed è come se una molla ti svuotasse delle energie che scaturiscono dal tuo Io”.

Ecco come “lavora” il poeta. Così Caterina si racconta, lei che è una delle espressioni più elette del panorama letterario italiano. “Ma c’è ancora qualcosa di inesplicabile come sempre è inesplicabile il quid più segreto (e unico in definitiva, e decisivo) della poesia”. Mario Luzi commenta la preziosità e l’unicum di Caterina e Caterina vive di una ammirazione senza timori per il maestro, sentito come guida e dimora, luce ed essenza.

Il poeta è un terminale di energie superiori che si canalizzano su di lui e in lui. Così, più o meno, Jorge Luis Borges. E chi scrive sa che il fremito è il segnale d’arrivo. Lassù, oltre le nuvole, si muovono i folletti che giocano con l’anima di chi ancora si sa commuovere e offre all’intervistatore le sue lacrime: “Quando hai pianto per l’ultima volta”. Chiesero. E la risposta fu: “Forse quando due labbra colsero l’unica goccia che scorreva sulla guancia”. Anche adesso sarebbe stato il caso di oltrepassare il limite per essere il “/Padre Grande” (animus junghiano) “che strazi e fai esultare/”, ma solo il polpastrello del suo indice sinistro colse le lacrime che scaturivano dai labirinti delle pupille non più vergini. Al di là è possibile scorgere il metallo nobile, quello degli alchimisti che provano e riprovano la trasmutazione per trasformare il piombo che è in noi: /Cento volte hai mutato la pelle / finché l’oro prezioso si è offerto / nelle tue squame di seta/.

Se non l’hai raggiunto, oltre la nigredo c’è il percorso del rosso (rubedo) e del bianco (albedo) che attendono questa donna: “Vedo il tempo nel duplice aspetto / di Aguzzino e di Armonizzatore del tutto. / Aguzzino perché sento che incalza, / assilla e opprime l’uomo. / Armonizzatore del tutto perché / dà equilibrio alle cose / e le riconduce all’Uno”.

Lei sa. Lei ha capito. Non le rimane che coniugare il suo Sè con l’Io per un percorso che l’ha vista vittima, protagonista, musa e dea pagana in un pantheon di figure che non recitano, ma sono artefici. Il limite, il confine, la gabbia la lasciano agli altri. In fondo i poeti accarezzano la chioma degli dei.